L'Italia riaccende gli stabilimenti (più inquinanti) a carbone e olio spingendoli alla massima potenza

06.09.2022

di Paolo Russo

Il ministro Cingolani autorizzerà l'incremento di un 20-25% della produzione di energia delle centrali a carbone e a olio.

L'incremento di produzione dovrebbe consentire di risparmiare gas a danno dell'ambiente, già a Febbraio di quest'anno WWF, Greenpeace e Legambiente erano insorte di fronte all'apertura di Draghi verso il ritorno alle cantrali a carbone.

"Il carbone è il peggior combustibili fossile, un vero e proprio killer non solo del clima, ma anche della salute umana e delle attività economiche" lamentavano le associazioni ambientaliste aggiungendo che "l'utilizzo delle centrali a carbone si scontra con la sofferenza decennale degli abitanti dei territori su cui le centrali insistono. Tutti gli amministratori, indipendentemente dal colore politico, vogliono che le centrali si chiudano: e vanno chiuse!"

Una doccia fredda per gli ambientalisti visto che già questa settimana, il ministro Cingolani firmerà l'atto di indirizzo che consentirà alle centrali termoelettriche di produrre a pieno regime, incrementando del 20-25% le stime di produzione di energia dalle grandi centrali a carbone e a olio, già attese a una produzione più che doppia rispetto al 2021.

La nuova misura consentirà di massimizzare la produzione degli impianti termoelettrici di potenza superiore a 300 megawatt.

Le centrali interessate sono in quattro casi dell'Enel (a Fusina, Brindisi, Torrevaldaliga e Portovesme), una di Ep Produzione a Fiumesanto e una di A2a a Monfalcone. Sempre A2a possiede poi la centrale a olio combustibile di San Filippo Del Mela.

L'aspettativa è quella di consentire un taglio dei consumi di metano per circa 1,5 miliardi che corrisponde a oltre un terzo del totale.

Una prospettiva buona a cui corrisponderà però un contestuale aumento delle emissioni di CO2.

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