IL TSO: un trattamento pericoloso e obsoleto

di Paolo Russo

Troppo spesso sentiamo parlare di Tso ascoltando con estrema leggerezza un acronimo che fa riferimento al trattamento sanitario obbligatorio. Un residuale dell'epoca manicomiale totalmente incompatibile, come procedimento medico, al nostro definirci società moderna.
Un insulto alla cultura umanistica del nostro paese e ai risultati degli studi, in ambito psicologico degli ultimi anni, che dimostrano come le cure psicologiche siano molto più efficaci e durature nel tempo degli interventi farmacologici.

Il sette maggio nella mia trasmissione radiofonica, I fiumi di Jane, si è parlato di un giovane siciliano, Dario Musso sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio in seguito a un atteggiamento, considerato provocatorio e anarchico, per il periodo storico che stiamo vivendo.

In buona sostanza Musso invita alla ribellione con un megafono da cui parla seduto dentro la sua automobile. Invita a non credere alla gravità della pandemia e a riprendersi la normalità che ci stanno rubando. Tutto ciò viene filmato da lui stesso e montato in un video insieme ad un altro filmato fatto da una ragazza che osserva la scena commentandola, dalla finestra del suo palazzo.
Succede che Musso viene circondato dalle forze dell'ordine che lo invitano a scendere dalla sua automobile e successivamente viene bloccato, buttato a terra e sedato da un medico che puntualmente, come se fosse addestrato a farlo, si coordina con le azioni della polizia.
Il video termina con le voci della ragazza che spaventata, ripete in dialetto siciliano che lo stanno sedando.
Guardando bene il video sembra di assistere ad un atto violento e spropositato verso un ragazzo sulla trentina che in maniera utopistica, forse crede ancora di poter cambiare il mondo, guidato da una passione politica e dall'illusione di poter fronteggiare le ingiustizie da eroe sfidando le leggi della civiltà.
E' sulla civiltà che vorrei cominciare la mia riflessione da psicoterapeuta e psicoanalista che si è occupato da 15 anni di clinica ma soprattutto da poeta che ama la saggezza intrinseca in quegli autori che hanno fatto la cultura italiana. Ungaretti intervistato da Pasolini diceva che la civiltà è di per sè un atto contro natura e infatti secondo me, è sulla capacità di accogliere, nel nostro essere civili la diversità, che misuriamo la nostra grandezza come popolo e come individui.
Il Tso è un trattamento medico presumibilmente volto alla cura e cioè a quel bene garantito da molte civiltà che dovrebbe apportare un beneficio alle persone con problemi mentali.
Un trattamento psichiatrico residuale dei manicomi e cioè di quei lager in cui venivano fatti esperimenti sulle persone, allontanate dalla società civile poichè considerate pericolose o disfunzionali al sistema.
In buona sostanza, non eliminare il Tso fu un compromesso che Basaglia dovette accettare per far abolire i manicomi, completando la sua opera a metà.
Non si può dire di aver dato dignità ai pazienti con una malattia mentale se poi nella clinica non si scinde la patologia dalla persona. Il procedimento coatto infatti annulla l'individuo, oggettivando e riducendo la sua natura a una visione organicistica in cui il "malato" diventa un cervello da riequilibrare. Basaglia in merito si esprimeva cosi: "non bisogna lasciarsi andare a facili euforie. È una legge transitoria, fatta per evitare i referendum, e perciò non immune da compromessi politici. Non si deve credere di aver trovato la panacea a tutti i problemi della malattia mentale con il suo inserimento negli ospedali tradizionali. La nuova legge cerca di omologare la psichiatria alla medicina, cioè il comportamento umano al corpo. È come omologare i cani con le banane".
Basaglia in cuor suo sperava che la società un giorno facesse germogliare quei semi di umanità che lui aveva sparso con la sua rivoluzione psichiatrica, non è stato così anzi al contrario molti medici adattano la clinica alla legalità senza interrogarsi su quei temi etici indispensabili per svolgere qualsiasi professione di aiuto.
E'diffusa la convinzione tra gli psichiatri che i pazienti ricoverati in regime di trattamento sanitario obbligatorio entrino in un sistema per anni, a volte per tutta la vita, che li porterà ad avere pluriricoveri e trattamenti farmacologici coatti con farmaci depot, neurolettici che si depositano nel sangue facendo effetto per 15 giorni o un mese con rischi spesso altissimi per la salute del paziente, in quanto in caso di sindrome maligna del farmaco, la concentrazione dello stesso non si potrebbe eliminare, portanto in qualche caso la persona alla morte.

Un altro effetto della coercizione è la risposta imprevedibile della persona sottoposta al trattamento sanitario obbligatorio, ho ancora in mente gli articoli su un caso della provincia di Padova. Un ragazzo, Mauro Guerra reagì alla polizia che voleva bloccarlo, ricevendo una pallottola alla schiena che gli tolse la vita. «Nemmeno un cane si uccide in questo modo», così la sorella in lacrime commentò ai giornalisti l'accaduto. Fu ucciso perchè si ribellò al contenimento fisico!
Pertanto la vera riflessione che vorrei indurre nel lettore non è su questioni particolari ma sulla dignità medica nel 2020 del trattamento sanitario obbligatorio. Vorrei chiedere al nostro ministro della salute se è possibile che una società moderna come quella italiana si avvalga per la cura delle persone con patologie psichiche di un residuato manicomiale? E' davvero più conveniente in termini economici trattare i pazienti con i farmaci che con le cure psicologiche che secondo studi recenti risultano molto più efficaci e durature nel tempo? Ci sono logiche diverse dalla scienza che giustificano il Tso? E se si quali

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